È l'una di notte. Le luci del teatro si sono spente, il pubblico è a casa, e gli artisti si godono, rifocillandosi gli applausi ricevuti. Ma dietro le quinte, lontano dai riflettori, c’è ancora qualcuno che lavora. In silenzio, al buio, sotto i pochi lampioni tremolanti del retro del teatro, due tecnici caricano flight case su un camion con almeno, per fortuna la sponda idraulica. Sono gli ultimi a lasciare il teatro. Spesso, i primi a entrare e sempre gli ultimi a uscire.
Nel mondo dello spettacolo, la magia sul palco è resa possibile da una squadra di professionisti che si muovono nell’ombra: tecnici audio, luci e video, macchinisti, attrezzisti e maestranze. Figure fondamentali, ma troppo spesso invisibili. E soprattutto, troppo spesso non tutelate.
Un mestiere spinto dalla passione... ma a quale prezzo?
Lavorare nello spettacolo è una vocazione. Chi lo fa, ci crede. Non si tratta solo di mettere un microfono o accendere un faro: si tratta di dare vita all’arte. Di tradurre in suoni, colori e immagini le emozioni di uno spettacolo. Ma questa passione si scontra ogni giorno con turni estenuanti, orari sballati, trasferte lunghe, strutture inadeguate, normative poco chiare e, talvolta, una totale mancanza di sicurezza. Dove si diventa invisibili in fretta, nascosti da chi costa meno e che è disposto a portare il proprio limite sempre più avanti.
Il settore tecnico dello spettacolo è ancora oggi uno dei meno regolamentati in termini di orari, riposi, compensi e dispositivi di protezione. Eppure, basta un attimo per farsi male. Un carico spostato male, una scala mal fissata, un riflettore bollente, un trasporto al buio senza assistenza: è un attimo. E nessuno – tranne chi ci lavora dentro – lo sa comprende fino in fondo.
I numeri che non fanno rumore
Secondo i dati INAIL, nel settore dello spettacolo si verificano in media circa 350 infortuni indennizzati ogni anno, ovvero quasi uno al giorno, compresi festivi e ferie. Di questi, circa 320 casi comportano inabilità temporanea con almeno 4 giorni di assenza dal lavoro, mentre circa 30 casi l’anno comportano una inabilità permanente di grado pari o superiore al 6%. Inoltre, nell’ultimo triennio si è verificato un incidente mortale ogni anno.
Questi numeri, seppur inferiori rispetto ad altri settori, sono significativi considerando la dimensione del comparto e la scarsa attenzione mediatica che ricevono. La maggior parte degli incidenti coinvolge lavoratori di sesso maschile, con la componente femminile che rappresenta una quota marginale. Ma, secondo il mio parere, questi numeri non sono reale, perché tanti di noi sono invisibili.
Non vengono calcolate le giornate di malattia, non vengono calcolate le ferie, non ci sono protocolli di lavoro e spesso si viene inseriti in un POS come se stesse lavorando in un cantiere edile.
In un mondo dove le cooperative operano al contrario, dove se un tour salta, si sta tutti a casa e dove nessuna banca da credito a un lavoratore che sembra più un precario che un professionista.
Il mito del “dietro le quinte” deve cambiare
La narrazione romantica del tecnico “che ama il suo lavoro e non guarda l’orologio” ha bisogno di una svolta. È vero, la dedizione è tanta, ma non può giustificare la mancanza di regole, di formazione, di riconoscimento economico e di rispetto dei tempi di recupero. Le competenze tecniche che servono per allestire uno spettacolo sono altissime: elettricità, acustica, sicurezza, programmazione, problem solving. Non si tratta di “fare due collegamenti” o “montare due luci”. È una professione vera. E va trattata come tale. Dove dovrebbe contare il risultato e la professionalità invece che il preventivo più basso.
Questo, anche perché non esiste un albo dei professionisti e un listino di riferimento.
Il cambiamento parte dalla consapevolezza
Questo articolo vuole essere un invito alla riflessione. Ma anche un piccolo atto di denuncia. Perché troppe volte chi lavora nel settore è costretto ad accettare condizioni che altrove sarebbero impensabili. Perché manca una voce unitaria, una cultura della prevenzione e del rispetto. E perché spesso siamo noi stessi, da dentro il sistema, a normalizzare ciò che normale non è.
È tempo di accendere un riflettore anche sul retro del palco. Di parlare di sicurezza, diritti, dignità professionale. Di ricordare che senza tecnici, lo spettacolo semplicemente non va in scena.
Sarebbe veramente ora di aprire un tavolo di confronto serio e continuativo, dove parlare anche di formazione, investimenti nella cultura e collaborazione tra poli culturali, poli didattici, politica e futuro.
Se anche tu lavori nel mondo dello spettacolo e vuoi condividere la tua esperienza, scrivici. Solo insieme possiamo costruire un futuro più equo e sicuro per chi lavora nel buio, ma non smette mai di illuminare la scena.